lunedì 30 dicembre 2013

Capodanno

Non sempre l'idea di chiudere un anno è piacevole, come non sempre alla sua chiusura nasce il desiderio di iniziarne uno nuovo. Soprattutto se i calcoli, le prospettive, le evidenze che la realtà ti sbatte in faccia non sono tra le più positive. Premetto che non ho mai digerito le persone "odio il natale", "odio le feste", "babbo natale non esiste". Sì perché queste sono le stesse persone che distruggono i sogni di noi piccoli bambini, innestando prima del tempo dentro di noi quel sentimento di nostalgia del non essere, del fantastico, colpa della loro maturissima... invidia. Il sentimento di cui ho parlato è ben radicato nel mio corpicino, ed ogni anno faccio del mio meglio per raggiungere quest'immagine d'infinito poetico, non più credibile nemmeno nei film. Dunque è il 30 dicembre, la prima prova è passata, direi anche con ottimi voti, ed ho imparato che non sempre dividere è sbagliato. Questo Natale per la prima volta la famiglia si è divisa in due giorni. Nonna 1 il 24-nonna 2 il 25. Mai vissuti due giorni così pieni. A volte la divisione permette di essere interi. Ecco che però l'istinto della catastrofe si fa sentire. Ho sempre temuto la felicità, tanto da finire a volte per accantonarla, per qualcosa di più leggero. Perché puntualmente la vita si rivela essere uno specchio sotto i piedi e come saltello di qualche metro so di scendere altrettanto per logica matematica, è solo questione di tempo. Ed infatti se a natale si stava a mezzemaniche oggi il cielo risente della crisi e ha acceso tutte luci a neon, e ogni tanto si fa scappare anche qualche lacrimuccia. Come dicevo l'istinto, il mio sesto senso, così ben sviluppato, non avrebbe fallito nemmeno se non avesse avuto l'aiuto del terremoto. Ebbene si, scosse, scosse ovunque. La mia poltrona trema e quando mi rendo conto che non è colpa del gatto, mi ritrovo in giardino, scalza e congelata. Era un segno. Un segno del destino. O lo sarebbe stato se il terremoto interiore non fosse venuto poche ore prima. Tutto il palazzo, costruito a otto mani, quali più grandi, quali più forti, è caduto a pezzi, e salvare i feriti diventa difficile sotto le macerie, ci si confonde, si ha paura di sbagliare e restando fermi si rischia di far crollare anche quel poco che è rimasto. Ne deduco che il terremoto sul matese è stata solo una coincidenza/conseguenza, una semplice somatizzazione, di questo malessere umanitario. Un terremoto. Panico e paura tra la gente, tutti fuori, tutti simbolicamente riuniti, genitore1 e genitore2 che dimenticano il litigio iniziato, la vicina di casa che di nuovo rivolge la parola, cosa che nemmeno la santa messa del Natale era riuscita ad ottenere. Poi da ciò che era pericolo si passa alla novità del momento, il terremoto è l'argomento sicuro della conversazione dopo la salute della nonna, e c'è chi da buon cristiano dà la colpa al corno messo al contrario in città. Così, in attesa della prossima scossa che pure verrà dimenticata, sono in attesa di questo nuovo anno, con la malinconia nel cuore, e con la speranza nelle mani.


Gerald Harvey