martedì 27 novembre 2012

Prospettiva


Si sono incrociati come estranei,

senza un gesto o una parola,
lei diretta al negozio,
lui alla sua auto.

Forse smarriti
O distratti
O immemori
Di essersi, per un breve attimo,
amati per sempre.

D'altronde nessuna garanzia
Che fossero loro.
Sì, forse, da lontano,
ma da vicino niente affatto.

Li ho visti dalla finestra
E chi guarda dall'alto
Sbaglia più facilmente.

Lei è sparita dietro la porta a vetri,
lui si è messo al volante
ed è partito in fretta.
Cioè, come se nulla fosse accaduto,
anche se è accaduto.

E io, solo per un istante
Certa di quel che ho visto,
cerco di persuadere Voi, Lettori,
con brevi versi occasionali
quanto triste è stato.

da "Due punti" 
Wislawa Szymborska


                                  
 Parigi, Rue de Rivoli
1937 Brassaï


mercoledì 21 novembre 2012

Gli occhi dell'anima

Chiusi gli occhi, quelli che potevo chiudere. Lui è lì, davanti a me, vestito da amico. E' il vestito del padre che, prima di morire, l'aveva affidato all'amore del mio. E' lì, sento il suo sguardo, quegli occhi inquietanti, che senza muoversi scendono dai miei occhi al petto. Cresce la paura e la voglia di guardare altrove, di fuggire. No, non avrebbe vinto. E' il male intorno. Come una scenografia di una favola triste in cui il magico è ben descritto, ma tutto ciò che è reale è sfumato. Il bosco è un bosco incantato, la strada è una semplice strada. La porta, una porta, le mani delle mani. Gli occhi, quelli continuano a guardarmi ancora adesso. Nulla a che vedere con la realtà. Mi parla di tradire, di fare, di essere curiosa: "quanti anni hai quindici?io trenta...hai mai…?io si, l'ho fatto…prova..."; non abbasso lo sguardo, non seguo la sua mano salire sulla mia gamba. Non scappo, voglio capire quell'energia, nera, come il suo sorriso al mio bianco, deciso, rifiuto. Gentilmente mi lascia andare. 
Riaprii gli occhi, appoggiai la schiena alla colonna, un ragazzo mi fischiò dalla macchina, un altro più vecchio mi spogliò con lo sguardo. Richiusi gli occhi. Lui è lì. Mi ferma su una strada che è una strada. Dove non so più dirlo. Non ha i capelli, la pelle è pallida, gli occhi sorridono neri. "ti ho vista..si, si...sai dove ti ho vista? a San Leucio...si, si...in macchina, con un ragazzo..parlerò con tuo padre....ma..se invece...se vuoi...?ci sentiamo..?"Mio padre pregò il suo amico di perdonarlo, per quella promessa non più possibile, ma il vuoto lasciato dalla paura m'aveva ormai inghiottito. Riaprii gli occhi. Mi strinsi nel giubbino, guardai compiaciuta il mio riflesso nella vetrina, quando una ragazzina dai capelli rossi passò tra me e il mio riflesso. La cosa mi turbò. Quei capelli rossi coprivano un visino brutto e triste, anche gli occhi erano rossi e un po' gonfi. Iniziai a camminare, tenendomi sulla destra del marciapiede. Vagabondava nella mia direzione un altro ragazzino, alto e magro, pieno di capelli ricci che si univano a una fresca barbetta. Ordinai ai miei occhi di mostrarsi sensuali,per il gusto di essere guardata, per il gusto di compiacermi. Quello però guardò oltre, oltre le mie spalle, oltre la mia vita sottile, oltre i miei lunghi capelli neri, gli occhi arrossati, un po’ assenti, un po’ in ricerca di qualcuno. Improvvisamente il sole albeggiò in quelle pupille, le sopracciglia si addolcirono e le gambe prima di affrettare il passo si fermarono per un istante, insieme al cuore. Mi girai istintivamente e osservai la ragazza rossa. La vidi girare dietro la siepe, e vidi lui correrle dietro, sparendo entrambi dalla mia vista. Chiusi gli occhi, quelli che potevo chiudere. E non ci fu bisogno di vedere per capire quell'energia. Bianca, come ora il sorriso dei miei occhi. Un bianco vivo sorriso.

Modigliani - Ritratto di bambina

venerdì 2 novembre 2012

Inquietudine distesa


Sono qui, non fuggo. 

Avvolgimi ora non solo con gli occhi,
lascerò che le nuvole ci nascondano.

E' buio, 
ma ora sento,
insieme riempiamo 
quel silenzio,

come l'acqua che cade inquieta
e calma si spande.



Arkhip Kuindzhi - Night on the Dnepr

domenica 21 ottobre 2012

Poesia


I Giorni e le Notti
suonano
in questi miei nervi d'arpa

Vivo
di questa gioia malata
d'universo
e soffro
per non saperla accendere
nelle mie parole

Poesie Disperse - Ungaretti

sabato 21 luglio 2012

Solo un gioco

Le prese le mani e gliele giró dietro la schiena,

ciocche di grano s'impigliarono tra le dita.

Ridendo lei lo respinse, e ancora lui la riprese,

le radici dell'uno negli occhi dell'altro,

libere di rincorrersi e d'intrecciarsi.

Poi la notte accarezzó il cielo,

e il gioco vinse il timore.



Munch - Bacio alla finestra

venerdì 13 luglio 2012

George Gray



Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio —
una barca che anela al mare eppure lo teme.


I have studied many times
The marble which was chiseled for me  —
A boat with a furled sail at rest in a harbor.
In truth it pictures not my destination
But my life.
For love was offered me and I shrank from its disillusionment;
Sorrow knocked at my door, but I was afraid;
Ambition called to me, but I dreaded the chances.
Yet all the while I hungered for meaning in my life.
And now I know that we must lift the sail
And catch the winds of destiny
Wherever they drive the boat.
To put meaning in one's life may end in madness,
But life without meaning is the torture
Of restlessness and vague desire
  —
It is a boat longing for the sea and yet afraid.





da Antologia di Spoon River - Edgar Lee Masters 


                                                        Caspar David Friedrich - Il porto di Greifswald

lunedì 18 giugno 2012

Cos'è una fotografia? Cosa significa fotografare? Perchè fotografiamo?

                   

L'uomo è vita, l'uomo vuole vivere, e quindi conoscere, usando tutti i suoi sensi: il tatto, la vista, l'olfatto, il gusto, l'udito. A volte, però, si può essere al buio, si può essere distratti e non vedere, o si può avere il raffreddore e non sentire, si possono avere i tappi nelle orecchie e non ascoltare e ci si può far iniettare il cibo nel corpo senza più assaporare nulla; ma quando delle dita ci sfiorano, quando l'acqua bollente ci picchietta sulla schiena, quando camminiamo scalzi per sentire il mondo anche con i piedi, la comunicazione mondo-uomo è cosi immediata da rendere il tatto uno dei nostri sensi più forti. Nell'antichità, infatti, anche noti e valenti matematici pensavano che tutti gli altri sensi fossero riconducibili a quello del tatto e che dagli occhi uscissero dei raggi simili a dei bastoni che, come il bastone di legno di un cieco, scrutano il mondo intorno e comunicano alla psiche tutti i dati necessari per discernere il colore e la forma degli oggetti. L'uomo vuole conoscere. Ma come si fa a conoscere qualcuno o qualcosa? ecco che arriviamo al bisogno elementare dell'uomo:la comunicazione. L'uomo ha bisogno di comunicare, se proprio non vuole farlo con le persone, ha bisogno almeno di comunicare con la natura. Comunicare vuol dire appunto mettere in comune, e in italiano ha proprio il significato semantico di "far conoscere", quindi  il "far conoscere" implica uno scambio, un dono. Uno dei doni più belli da dare e da ricevere sono le emozioni, e stesso la parola "emozione" deriva da "emotionem" da "emmovere" e quindi "muovere da", "trasportar fuori".  E guarda caso, studi recenti affermano che le emozioni sono "contagiose", che quando le persone che ci stanno intorno mostrano gioia iniziamo a sorridere anche noi, se mostrano tristezza ci si incupisce e secondo un certo Hatfield "il contagio emotivo è la tendenza a imitare e a sincronizzarsi automaticamente con le espressioni facciali, vocali, posturali e gestuali di un‘altra persona e, quindi, a convergere emotivamente". Abbiamo così assodato che l'emozione è il dono migliore da fare per comunicare, e quindi per conoscere e per vivere. 

La domanda iniziale del titolo è "cos'è una fotografia?", e quindi tutto questo sproloquio sembrerebbe inutile. Ma prima di cercare una risposta a questa domanda, cerchiamo di riflettere sulla terza domanda: "perchè fotografiamo?". Anche prima dell'esistenza della macchina fotografica si cercava di riprodurre la realtà quanto più fedelmente fosse possibile, impiegando, per la realizzazione di un quadro, anche degli anni. Con il tempo però l'uomo cerca di trovare mezzi sempre più efficaci e veloci,  e così alcuni pittori, come Canaletto, hanno iniziato ad utilizzare camere oscure con lenti per la realizzazione dei propri quadri. Una camera oscura può essere composta da una semplice scatola chiusa con un piccolo foro su un lato che lascia entrare la luce.Questa luce proietta all'interno della scatola, sul lato opposto, l'immagine capovolta di quanto si trova avanti al foro. Più il foro è piccolo e più l'immagine risulta nitida e definita. Fin dall'antichità si conosceva il fenomeno della camera oscura, nei Problemata si afferma che "i raggi del sole che passano per un'apertura quadrata formano un'immagine circolare la cui grandezza aumenta con l'aumentare della distanza dal foro". Le prime camere oscure erano delle vere e proprie stanze, al cui interno pittori e scienziati lavoravano. Leonardo Da Vinci arrivò poi a proporre di mettere una lente, e passo dopo passo arriviamo alla  macchina fotografica, in cui la luce resta impressa su di una pellicola, e alla fotocamera digitale, in cui questa luce viene conservata in una piccola "memoria". 


Ma dunque, dicevamo, perchè fotografiamo? Fotografiamo per comunicare. Possiamo facilmente constatare che l'istinto di fotografare ci viene quando qualcosa si fa conoscere da noi, in particolare quando un emozione ci viene donata, e quindi cerchiamo di catturarla. Questo risponderebbe alla seconda domanda, fotografare vuol dire catturare quel dono che qualcuno o qualcosa ci fa. L'istinto di fotografare nasce però anche quando siamo noi a fare quel dono, a farci conoscere, a comunicare, in quel modo che noi chiamiamo "arte". Arte sembra derivare dalla radice ariana ar- che in sanscrito significa "andare verso" e in senso traslato "adattare, fare, produrre" e quindi "creare". In albanese, lingua  che deriva dalla lingua dei pelasgi, quindi antichissima e primitiva, "art" è un sostantivo, che significa, produzione, e deriva dal verbo "ardhur" ossia "produrre, nascere pervenire". Quindi le nostre "opere d'arte", le nostre "creazioni", espressioni estetiche della propria interiorità,  non sono altro che uno scambio di doni. Banalmente: guardiamo il mare, il mare ci emoziona (dono da parte della natura) e lo fotografiamo. Catturata l'emozione, possiamo tenerla per noi, o condividerla con gli altri(dono da parte nostra). Ho ulitizzato il termine "catturare".  Prendendo in considerazione il tempo, lo scambio di doni avviene solo in un determinato istante, che è un qualcosa di finito che diventa passato. Una fotografia, come un quadro, come una statua, per il "creatore" sono portali che ci permettono di violare le leggi del tempo previste per l'uomo e di ritornare, con un'intensità sempre diversa, a quello scambio di doni non "catturato", ma "impresso", su quella pellicola particolare, la nostra anima. L' "osservatore", il "lettore" dell'opera, potrà  solo "comunicare" con questa.




                                             numero 8: cielo stellato - da "Il postino"


sabato 9 giugno 2012

Amore e responsabilità

Bisogna completare l'amicizia con la simpatia: priva di simpatia, l'amicizia resterebbe fredda e poco comunicativa. Questo processo è possibile per il fatto che, pur nascendo nell'uomo in modo spontaneo e manifestandosi in lui irrazionalmente, la simpatia gravita verso l'amicizia, manifesta una tendenza a divenire amicizia. 

L'amicizia e la simpatia dovrebbero compenetrarsi senza intralciarsi. In questo consiste l' "arte" dell'educazione dell'amore, la vera ars amandi. E' contrario alle sue regole permettere che la simpatia (particolarmente evidente nel rapporto uomo-donna, in cui si ricollega a un'attrazione sensuale e carnale) obnubili il bisogno di creare l'amicizia e in pratica la renda impossibile. In questo, a quanto pare, risiede spesso la causa di diverse catastrofi e fallimenti ai quali è esposto l'amore umano.

L'errore frequentemente commesso nell'amore umano consiste nel mantenerlo a livello della simpatia anziché trasformarlo coscientemente in amicizia. Un'altra conseguenza di quest'errore è credere che al momento in cui finisce la simpatia, finisca anche l'amore.

Stanislaw Andrzej Gruda

giovedì 31 maggio 2012

A te, che mi ami


A te, che mi ami
che mi sai fragile,
che il mondo mi spezza
anche solo con la carta.

A te, che mi ami
che temi ch' io
sia vittima del mondo,
che salga su quel barcone
che non arriverà.

A te, che mi ami:

questo mondo
ho deciso di amarlo,
e il mio posto,
anche se affondo
devo cercarlo

il mio posto,
per rendere il mondo migliore.

                                                                                              Foto di Franco Cutroni


mercoledì 30 maggio 2012

Non Chiederci La Parola


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato. 


Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!


Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


Montale - Ossi di seppia

domenica 27 maggio 2012

Alla ricerca di un po' di spazio


Se si è fortunati, già da piccoli si ha a casa una piccola biblioteca personale, costruita nel tempo dalla propria famiglia. Probabilmente, entrando nel salotto, al terzo ripiano di uno scaffale, troviamo quei libri grossi, un po’ pomposi, dalla copertina spessa e rigida, con un nome tutto dorato e vari ghirigori intorno. Più sotto ci sono le enciclopedie, loro si che sono esperte e saccenti, ti parlano del mondo, di come’ è fatta l’Africa, di quanti abitanti ha il Congo, e in quale anno l’Inghilterra ha litigato con la Francia. In un angolo del muro a destra, ci sono, tutti insieme su di una mensola, quelli bravi in medicina, mentre, appena un ripiano sopra, quelli dotti in economia. Cambiando stanza, magari in una camera da letto, possiamo entrare invece un po’ più nell’intimo. Appoggiato sul comodino c’è quell’autore particolare, di cui si conosce ogni segreto; nella libreria-armadietto, Wolfe critica tra un caso e l’altro e senza uscire dalle sue pagine, il vicino violinista; in basso, un paio di poesie da leggere insieme alla luna, e infine non mancano quei libri che mai si è riusciti a finire, e mai ci si riuscirà. Arriva poi un momento in cui si vuole partecipare alla formazione di questa biblioteca (quella esistente non ci basta più): una passeggiata in libreria, o ancora meglio , uno sguardo sulle bancarelle, ed ecco che, aggiungendo qualche volume qua e là, inizia l’avventura. Osserviamo le copertine  – le quali, checché se ne dica, un po’contano - l’anno dell’edizione, quale casa li ha prodotti, e se c’è il commento di qualche intellettuale. Una volta convinti, li inseriamo in qualche angolo di uno scaffale, cercando di non guastare l’armonia creata in base agli autori, alle tematiche e, se siamo in salotto, alle copertine. E così un po’ ne aggiungiamo, un po’ ne dimentichiamo. I libri assomigliano alle persone. Puoi trovare quel tale, un po’ pesante, un po’ complicato, che dopo venti pagine gli dici “basta! Che noia!”e magari perdi l’occasione di leggere qualcosa d’importante; qualcuno, consigliato da un amico, ti colpisce con quell’incipit promettente e poi si rivela una delusione; e poi ci sono quelli meravigliosi, che ti portano nel loro mondo incantato, ti fanno sognare, quelli che ti fanno piangere,  e quelli stupidi, che proprio non dicono nulla. Forse però leggere un libro è un po’ più semplice del conoscere una persona. Un libro è finito, è sempre lo stesso, se ha un finale triste sarà sempre triste. Oppure no? Non  è in realtà solo una parte del mondo di chi l’ha scritto, una piccola finestra sulla sua vita? In ogni caso entri nel suo mondo. E poi scegli se lasciargli spazio nel tuo, nella tua piccola biblioteca.


"È molto complicato questo fiore..."


"Avrei dovuto non ascoltarlo", mi confidò un giorno, "non bisogna mai ascoltare i fiori. Basta guardarli e respirarli. Il mio, profumava il mio pianeta, ma non sapevo rallegrarmene. Quella storia degli artigli, che mi aveva tanto raggelato, avrebbe dovuto intenerirmi." 
E mi confidò ancora:
 "Non ho saputo capire niente allora! Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole. Mi profumava e mi illuminava. Non avrei mai dovuto venirmene via! Avrei dovuto indovinare la sua tenerezza dietro le piccole astuzie. I fiori sono così contraddittori! Ma ero troppo giovane per saperlo amare".

Antoine de Saint-Exupéry - Il Piccolo Principe

(Illustrazione dell'autore)

giovedì 10 maggio 2012

La panchina




Questa mattina, in un momento di stanchezza, mi siedo su di una panchina di legno piuttosto rovinata, con l’intenzione di riordinare i miei soliti pensieri. Mi accorgo che il ritmo del mio tempo è incredibilmente rallentato, mentre  intorno a me questo continua a correre, insieme ai piedi della gente. A destra un’ansiosa cinquantenne trascina con fatica le buste della spesa, probabilmente in ritardo per la preparazione del pranzo, poco lontano un ragazzino appena quindicenne compra frettolosamente le Marlboro, mentre un povero Pug cerca disperatamente di  resistere agli strattoni  del suo proprietario. Ma i personaggi dello scenario che incuriosiscono il mio sguardo cambiano rapidamente, ed ecco che la cinquantenne diventa una donna di trent’anni circa, dalla camminata particolarmente nervosa, dovuta forse ai tacchi troppo alti, o alla telefonata appena ricevuta, o magari a entrambe le cose, il quindicenne ora ha  i capelli bianchi e un paio di pensieri in più, e  il Pug diventa un pappagallino tutto colorato, compagno d’avventura di uno zingaro che cerca di vendere i suoi numeri fortunati. Così passano, rapidi, davanti agli occhi, scorci di vita un po’ dedotta e un po’ inventata, di tutte queste persone, suscitando in me riso e tristezza, quando all’improvviso mi rendo conto di essere diventata anch’io parte dello scenario di qualcuno. Di fronte a me, leggermente nascosta dal paraurti di una Volvo, c’è una seconda panchina, da cui, un’anziana signora, con una particolare dolcezza, mi rivolge un sorriso. Rimasta per qualche attimo interdetta, come se qualcuno avesse scoperto il mio simpatico gioco, ricambio il sorriso e riprendo la corsa della mia giornata.


         
Christian Boltanski, Les Murmures

domenica 6 maggio 2012


Appoggiata alla piccola finestrella della mia cucina osservavo, spensierata, uno dei tanti cataloghi di libri che, insistente, il Club degli Editori mi invia ogni mese, quando alzando gli occhi, vedo la mia nuova vicina di casa entrare con lo sguardo, quasi con il collo, in una delle stanze di casa mia, e ben coperta dalla tendina, cercare di soddisfare la curiosità dei suoi occhi per circa un quarto d’ora,  sicura di non poter essere vista. La scena era abbastanza divertente in quanto,  nei  pochi incontri precedenti,  questa simpatica vecchietta aveva sempre mantenuto un atteggiamento  altezzoso, un po’ arrogante, quasi come a voler mettere distanza  tra la sua persona e il suo purtroppo nuovo vicinato. Essendo usanza di tutti i piccoli paesi - e forse anche di quelli grandi – offrire, quando si condivide l’ingresso di un cortile con altre persone, un buon caffè al vicino appena trasferitosi, la signora Angela del piano sottostante, quello stesso giorno, con tanto amore e altrettanto veleno, aveva sistemato per bene due tazzine di caffè sul vassoio antico dell’ Ottocento, lucidato i cucchiaini appena sottratti all’argenteria, e piena di sé, bussato al campanello della nuova arrivata. La vecchietta aveva deciso però di iniziare il rapporto con il piede decisamente sbagliato, e di rifiutare il caffè. La signora Angela, incredula, aveva indugiato sulla soglia, e solo dopo un terzo tentativo  era riuscita a dar luogo alla frivola conversazione che dal mattino aveva già ben definito nei dettagli.
Insomma, stabilire un rapporto, anche se superficiale, con le persone, è un qualcosa di assai complicato, fatto di comprensione, di finzione, di regole e di estrema pazienza, e non ho potuto non fare un sospiro di sollievo nel pensare che in fondo,  non dovrebbero stupirmi tutte le difficoltà che incontro ogni volta che io provi a costruire qualcosa di vero con le persone intorno a me.


                                              

                                                                    Peter Fendi - Sneaking a peek

lunedì 30 aprile 2012

Brutti e stupidi

Vi sono certi individui sul cui viso è impressa una tale ingenua volgarità e una tale bassezza del modo di pensare, nonché una tale limitatezza bestiale dell'intelletto, che ci stupisce come mai siffatti individui abbiano il coraggio di uscire con un simile viso e non preferiscano portare una maschera.

L'arte di insultare - Schopenhauer

                                                                             Antonello da Messina - Ritratto d’ignoto

giovedì 26 aprile 2012


Così sempre corre il giovane verso la donna: ma è davvero amore per lei a spingerlo? o non è amore soprattutto di sé, ricerca d'una certezza d'esserci che solo la donna gli può dare? Corre e s'innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c'è, e lei sola può dargli quella prova. Ma la donna anche lei c'è e non c'è: eccola di fronte a lui, trepidante anch'essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo? Cosa importa chi trai due è il forte e chi il debole? Sono pari. Ma il giovane non lo sa perché non vuole saperlo: quella di cui ha fame è la donna che c'è, la donna certa. Lei invece sa più cose; o meno; comunque sa cose diverse; ora è un diverso modo d'essere che cerca.

Calvino - Il cavaliere inesistente 



                                                                        Winslow Homer, (1836-1910) Moonlight