lunedì 30 dicembre 2013

Capodanno

Non sempre l'idea di chiudere un anno è piacevole, come non sempre alla sua chiusura nasce il desiderio di iniziarne uno nuovo. Soprattutto se i calcoli, le prospettive, le evidenze che la realtà ti sbatte in faccia non sono tra le più positive. Premetto che non ho mai digerito le persone "odio il natale", "odio le feste", "babbo natale non esiste". Sì perché queste sono le stesse persone che distruggono i sogni di noi piccoli bambini, innestando prima del tempo dentro di noi quel sentimento di nostalgia del non essere, del fantastico, colpa della loro maturissima... invidia. Il sentimento di cui ho parlato è ben radicato nel mio corpicino, ed ogni anno faccio del mio meglio per raggiungere quest'immagine d'infinito poetico, non più credibile nemmeno nei film. Dunque è il 30 dicembre, la prima prova è passata, direi anche con ottimi voti, ed ho imparato che non sempre dividere è sbagliato. Questo Natale per la prima volta la famiglia si è divisa in due giorni. Nonna 1 il 24-nonna 2 il 25. Mai vissuti due giorni così pieni. A volte la divisione permette di essere interi. Ecco che però l'istinto della catastrofe si fa sentire. Ho sempre temuto la felicità, tanto da finire a volte per accantonarla, per qualcosa di più leggero. Perché puntualmente la vita si rivela essere uno specchio sotto i piedi e come saltello di qualche metro so di scendere altrettanto per logica matematica, è solo questione di tempo. Ed infatti se a natale si stava a mezzemaniche oggi il cielo risente della crisi e ha acceso tutte luci a neon, e ogni tanto si fa scappare anche qualche lacrimuccia. Come dicevo l'istinto, il mio sesto senso, così ben sviluppato, non avrebbe fallito nemmeno se non avesse avuto l'aiuto del terremoto. Ebbene si, scosse, scosse ovunque. La mia poltrona trema e quando mi rendo conto che non è colpa del gatto, mi ritrovo in giardino, scalza e congelata. Era un segno. Un segno del destino. O lo sarebbe stato se il terremoto interiore non fosse venuto poche ore prima. Tutto il palazzo, costruito a otto mani, quali più grandi, quali più forti, è caduto a pezzi, e salvare i feriti diventa difficile sotto le macerie, ci si confonde, si ha paura di sbagliare e restando fermi si rischia di far crollare anche quel poco che è rimasto. Ne deduco che il terremoto sul matese è stata solo una coincidenza/conseguenza, una semplice somatizzazione, di questo malessere umanitario. Un terremoto. Panico e paura tra la gente, tutti fuori, tutti simbolicamente riuniti, genitore1 e genitore2 che dimenticano il litigio iniziato, la vicina di casa che di nuovo rivolge la parola, cosa che nemmeno la santa messa del Natale era riuscita ad ottenere. Poi da ciò che era pericolo si passa alla novità del momento, il terremoto è l'argomento sicuro della conversazione dopo la salute della nonna, e c'è chi da buon cristiano dà la colpa al corno messo al contrario in città. Così, in attesa della prossima scossa che pure verrà dimenticata, sono in attesa di questo nuovo anno, con la malinconia nel cuore, e con la speranza nelle mani.


Gerald Harvey

mercoledì 27 novembre 2013

Piccolo dizionario di parole fraintese - forza

Nel letto di uno dei tanti alberghi dove avevano fatto l'amore, Sabina stava giocando con le braccia di Franz:
— È incredibile, — disse — i muscoli che hai.
Franz fu contento di quel complimento. Si alzò dal letto, afferrò una pesante sedia di quercia per una gamba e la sollevò lentamente.
— Non devi avere paura di nulla, — disse — Ti proteggerei in ogni situazione. Un tempo sono stato campione di judo.
Riuscì a distendere il braccio in alto tenendo la pesante sedia sopra la testa e Sabina disse:
— È bello sapere che tu sei così forte.
Nel profondo dell'anima aggiunse però ancora qualcosa: Franz è forte, ma la sua forza si rivolge soltanto verso l'esterno. Nei confronti delle persone con le quali vive, alle quale vuol bene, è debole. La debolezza di Franz ha nome bontà. Franz non darebbe mai ordini a Sabina. Non la comanderebbe mai, come Tomáš, di poggiare a terra lo specchio e di camminarci sopra nuda. Non è che gli manchi la sensualità, quello che gli manca è la forza di dare ordini.
Ci sono cose che si possono realizzare solo con la violenza. L'amore fisico è impensabile senza violenza.
Sabina guardava Franz camminare su e giù per la stanza tenendo alta la sedia; la scena le sembrava grottesca e la riempiva di una strana tristezza. Franz poggiò la sedia a terra e vi sedette rivolto verso Sabina.
— Non che mi dispiaccia essere forte, — disse — ma a che mi servono questi muscoli a Ginevra? Li porto come un ornamento. Come penne di pavone. Non ho mai fatto a pugni con nessuno.
Sabina continuava nelle proprie malinconiche riflessioni: e se avesse avuto un uomo che le dava degli ordini? Un uomo che voleva dominarla? Quanto tempo l'avrebbe sopportato? Nemmeno cinque minuti!
Ne derivava che nessun uomo le andava bene, né uno forte né uno debole.
Disse:
— Perché la tua forza non la usi qualche volta contro di me?
— Perché l'amore significa rinunciare alla forza – disse Franz piano.
Sabina capì due cose: primo, che si trattava di una frase bella e vera.
Secondo, che con quella frase Franz si squalificava dalla sua vita erotica.

L'insostenibile leggerezza dell'essere - Milan Kundera

domenica 3 novembre 2013

Giochi ogni giorno con la luce dell'universo.

Giochi ogni giorno con la luce dell'universo.
Sottile visitatrice, giungi nel fiore e nell'acqua.
Sei più di questa bianca testina che stringo
come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.

A nessuno rassomigli da che ti amo.
Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle.
chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.

Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire i venti, tutti.
La pioggia si denuda.

Passano fuggendo gli uccelli.
Il vento. Il vento.
Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini.
Il temporale solleva in turbine foglie oscure
e scioglie tutte le barche che iersera s'ancorarono al cielo.

Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all'ulitmo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Tuttavia qualche volta corse un'ombra strana nei tuoi occhi.

Ora, anche ora, piccola mi rechi caprifogli,
ed hai persino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle
io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.

Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano.
Abbiamo visto ardere tante volte l'astro baciandoci gli occhi
e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli giranti.

Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Ti credo persino padrona dell'universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,
nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.

PABLO NERUDA, Giochi ogni giorno con la luce dell'universo (Poema XIV in: Venti poesie d'Amore e una canzone disperata), 1924.

Johnny Depp e Kate Moss

venerdì 27 settembre 2013

Soliti imprevisti

<<Questa è Port'Alba, la via dei libri, Ele, guarda qui! puoi trovare dei capolavori  a due, tre euro, non è meraviglioso?>> Non c'è posto migliore a Napoli per un lettore alla ricerca di parole, di Via Port'Alba, stretta viuzza che collega piazza Dante a piazza Bellini. Già il fatto che ci sia una porta vera e propria che apre sul mondo dei libri è un buon motivo per trovarsi lì. La prima cosa da fare è fermarsi davanti ad ogni singola bancarella e, partendo dal primo libro, spingerlo in giù con l'indice per poter leggere il nome del libro successivo, se quello non ci ha interessato, e poi procedere con il medio, come se le due dita fossero dei piccoli piedi di un abile corridore, un-due, un-due! chi ha l'abitudine di inserire questa via in qualsiasi tragitto abbia pianificato, nonostante la meta sia esattamente dal lato opposto, e soprattutto anche quando non si hanno soldi da spendere, deve sapere che è altamente probabile che i due piedini della mano si stanchino spesso e in men che non si dica il lettore si ritroverà un libro in più nella borsa, e soldi in meno nella tasca. Oggi che sono qui a Napoli, ho ovviamente inserito Port'Alba nel mio tragitto con Elena. Ero in procinto di iniziare la mia corsa quando il mio vero piede ha iniziato ad attirare la mia attenzione. La suola della mia scarpa destra si è completamente staccata dal resto, lasciando il mio calzino rosa alla bella vista di tutta la gente. Cazzo. Spingo immediatamente giù piede, calzino e scarpa a fisarmonica. Torno con estrema nonchalance a guardare i libri.
<<Elena! Abbiamo un problema.
<< cosa?>>
<<la scarpa.>>
<<eh?>>
<<La scarpa. La suola. Si è staccata. Guarda.>> ecco che la scontatissima, inevitabile, sonora risata di Elena scoppia nell'aria riuscendo a sovrastare tutto il tipico caos napoletano. 
<<sempre a te!sei sempre la solita!>> aspettatissime anche queste parole.



Dettagli

Maledizione ho chiesto di vivere una favola
e mi è stato assegnato il ruolo del nano!

mercoledì 18 settembre 2013

Schiaccia quei tasti: è la miglior pazzia che possa esserci!

Ci sono vari gradi di pazzia. E più sei matto e più la tua pazzia risulterà evidente agli occhi degli altri. Per quasi tutta la vita ho nascosto la mia pazzia dentro di me, ma è qui, esiste. Per esempio, un tale, uomo o donna, mi sta parlando di una certa cosa; beh, quando inizia a rompermi l'anima con i soliti luoghi comuni, me lo immagino con la testa sul ceppo della ghigliottina, oppure dentro un enorme tegame, a friggere, e intanto mi guarda con occhi terrorizzati. Se queste fantasie si avverassero, molto probabilmente tenterei un salvataggio, ma mentre sono lì che mi parlano non posso fare a meno di immaginarmeli così. O, più pietosamente, li vedo allontanarsi di corsa in bicicletta. Il fatto è che ho dei problemi con gli esseri umani. Gli animali, li adoro. Non mentono mai, e di rado tendono d aggredirti. A volte fanno i furbi, ma questo è tollerabile, non vi sembra?
Gran parte della mia vita da ragazzo e da adulto l'ho passata in piccole stanze, raggomitolato a guardare le pareti, le persiane rotte, i pomelli dei cassetti dei comò. Non ero indifferente alla femmina, e la desideravo, ma non così tanto da dannarmi per procurarmela. Mi piacevano i soldi, ma anche lì, come per la femmina, non volevo fare le cose necessarie per averli. Volevo appena quanto mi bastava per una stanza e qualcosa da bere. Bevevo da solo, generalmente a letto, con le cortine abbassate. A volte andavo nei bar per dare un'occhiata alla specie umana, ma la specie restava sempre uguale - niente di straordinario, nella migliore delle ipotesi. In tutte le città setacciavo le biblioteche. Un libro dopo l'altro. Pochi mi dicevano qualcosa. Per lo più erano come polvere nella mia bocca, sabbia nella mia mente. Nessuno aveva niente a che vedere con me o con quel che provavo: dove mi trovavo - in nessun posto - che cosa facevo - niente - e cosa volevo - sempre niente. I libri del passato servivano soltanto a ingigantire il mistero di avere un nome e un corpo, di camminare, parlare, fare le cose. Nessuno sembrava corrispondere alla mia particolare pazzia. In alcuni bar diventavo violento, ci furono risse di strada dalla maggior parte delle quali uscii pesto e sconfitto. Ma non lottavo contro nessuno in particolare, non ero inferocito, soltanto che non riuscivo a capire le persone, il loro modo di essere, di agire, di presentarsi. Entravo e uscivo di galera, venivo sfrattato dalle stanze. Dormivo sulle panchine dei parchi, nei cimiteri. Ero confuso, ma non ero infelice. Non ero cattivo. Solo che non riuscivo a ricavare niente da quello che avevo intorno. La mia violenza si contrapponeva all'evidenza del tranello, io gridavo e loro non capivano. E anche nelle risse più furibonde, guardavo il mio avversario e pensavo: perché è arrabbiato? Vuole uccidermi. Allora dovevo tirare pugni per liberarmi della bestia che avevo dentro.
La gente non ha senso dell'umorismo, si prendono tutti così cazzutamente sul serio. Ad un certo punto, e non so più da dove sia sbucata, mi è venuta l'idea che avrei dovuto diventare uno scrittore. Forse potevo scrivere le parole che non avevo letto, forse così facendo mi sarei scrollato dalla schiena quella tigre. Così ho iniziato ed è passato qualche decennio senza troppa fortuna. Adesso ero un matto scrittore. Altre camere, altre città. Sprofondai sempre più in basso. Una volta ad Atlanta mi stavo assiderando in una baracca di carta catramata, vivevo con un dollaro e un quarto a settimana. Né acqua corrente, né luce, né riscaldamento. Stavo seduto ad assiderarmi nella mia camicia da californiano. Un mattino trovai un mozzicone di matita e cominciai a scrivere poesie sui margini dei vecchi giornali sparsi sul pavimento.
Finalmente, a quarant'anni, pubblicarono il mio primo libro, una raccolta di poesie: Il fiore, il pugno e il gemito bestiale. Era arrivato un pacco di libri con la posta, aprii il pacco e dentro c'erano i libricini. Si rovesciarono sul pavimento, tutti quei libricini, e io mi inginocchiai fra loro, ero in ginocchio e raccolsi una copia e la baciai. Questo trent'anni fa. Scrivo ancora. Nei primi quattro mesi di quest'anno ho scritto 250 poesie. Sento ancora la follia scorrermi dentro, ma ancora non ho scritto le parole che avrei voluto, la tigre mi è rimasta sulla schiena. Morirò con addosso quella figlia di puttana, ma almeno le ho dato battaglia. E se fra voi c'è qualcuno che si sente abbastanza matto da voler diventare scrittore, gli consiglio di andare avanti. Sputa in un occhio al sole, schiaccia quei tasti: è la miglior pazzia che possa esserci! I secoli chiedono aiuto, la specie aspira spasmodicamente alla luce e all'azzardo e alle risate. Regalateglieli. Ci sono abbastanza parole per noi tutti.

Charles Bukowski - Confessioni di un codardo [La mia pazzia]

Papà

lunedì 26 agosto 2013

Leaves

Ci sono dei momenti, la sera,
poco prima di stendermi nel letto,
in cui da uno scaffale
tiro fuori un cesto
vicino ad altri cesti,
uguali a vedersi,
ma con dentro piccole foglie colorate.
A volte lo apro per cercarne una in particolare,
a volte ho solo voglia di guardarle.
Ogni foglia l'ho raccolta in un momento particolare,
ogni foglia è un regalo fattomi da una vita,
un'amicizia, un bacio, un sogno, un'assenza.
Capita, ancora, capita
che io non mi ricordi più di una delle foglie,
e a volte,
questa la metto da parte,
perché non abbastanza importante.
Capita,
che una foglia stia sempre tra le mie mani.
Un giorno, forse, troverai una foglia,
una piccola foglia rossa,
davanti la tua finestra.


domenica 18 agosto 2013

Lai du Chèvrefeuille

"avveniva di loro due
come del caprifoglio
che si avvinghia al nocciòlo:
quando si è attaccato e stretto
e attorcigliato al fusto,
assieme possono durare a lungo,
ma se uno li separa,
allora il nocciòlo subito muore
e il caprifoglio lo stesso.
mia bell'amica cosi è di noi:
«nè voi senza di me, nè io senza di voi»"

"d'euls deus fu il (tut) autresi
cume del chevrefoil esteit
ki a la codre se perneit:
quant il s'i est laciez e pris
e tut entur le fust s'est mis,
ensemble poënt bien durer;
mes ki puis les volt desevrer,
li codres muert hastivement
e li chevrefoil ensement.
«bele amie, si est de nus:
ne vus sanz mei, ne mei sanz vus!»"

Marie de France, Lai du Chèvrefeuille 


http://www.youtube.com/watch?v=e2uDdwUQLqU

Tristano e Isotta



venerdì 16 agosto 2013

Nessuno è straniero

No one is a stranger in this rain,
my lips kiss this land
and the salt of the eyes goes down in the sea,
no one is a stranger for this rain,
so let's keep our hands
every drop will return to the sky.

Nessuno è straniero sotto questa pioggia,
baciano le mie labbra questa terra
e il sale degli occhi scende nel mare,
nessuno è straniero per questa pioggia,
quindi teniamoci per mano
ogni goccia tornerà al cielo.



giovedì 18 luglio 2013

Il davanti dell'albero

Guarda, gli umani di spalle.

Se Dio esiste,
sarà forse questa la sua forma
in questo mondo?

Persino un albero
ha un davanti e un dietro.
Non necessariamente per colpa della luce del sole.
Non necessariamente per il Sud e il Nord.
Attraverso il suo davanti, io incontro l'albero,
attraverso il suo dietro, me ne accomiato.
E già mi manca, quell'albero.

Non possiede parole, l'albero,
ma se sente parole d'amore
porge più foglie al soffio del vento.
Le foglie del nuovo anno
saranno d'un verde ancora più smagliante.
E quando la nostra estate sarà trascorsa
rifulgirà lì,
d'un rosso fuoco
che nessuno potrà mai eguagliare.
D'un rosso fuoco
che nessuna fine d'amicizia umana
potrà mai terminare.

Ko Un - [traduzione di Vincenza D'Urso]

Thomas Moran

Poesia per te che mi cerchi

Quando non riesci a scrivere nulla
quando non riesci a leggere nulla

Immobile

Perché troppe cose ci sono da sentire
perché poche cose ci sono da sentire

Ascolta

Rumore e silenzio
odio e amore
guerra e pace
fuoco e pietra

Lasciati attraversare dal vento
ti accarezzerà
ti spingerà lontano
Distruggerà tutto ciò ch’è fuori
tutto ciò che è dentro
liscerà le montagne
che tu vedi immobili
sulla tua strada
sradicherà l’albero
della tristezza
soffierà le acque per te

Lasciati baciare dal sole
ritornerà ogni giorno
solo per te
scioglierà gli iceberg
del mare delle emozioni
chiarirà ogni vicolo buio
a lui scoprirai di
tendere naturalmente

Lascia che l’acqua ti scorra dentro
sii il suo letto
ti solcherà l’anima
sarai la sua strada
non cercare di essere roccia
riempirebbe i tuoi vuoti
e con il gelo li allargherebbe
frantumandoti

Se ti lancio una pietra
se ti spengo una fiamma
cosa resta
se non il nulla
se non il tutto

riprova
io sono qui

Alfred de Breanski Snr


mercoledì 17 luglio 2013

Una mia breve biografia

A volte sogno.
Dopo il volo lontano d’un pellicano sull’Oceano Indiano
io sogno.
Come usava fare mio padre al paese natio.
Scomparsa la luce dopo il tramonto, in quell’oscurità
io sogno.
Risvegliato dal sogno
sono vivo come una linea elettrica che piange nel vento.
Finora ho respinto i miei sogni.
Persino in sogno
ho lottato per respingere i sogni.
Così,
che fossero fantasie
o teorie dominanti di un’era
le ho respinte.
Esistevano solo le cose così come sono.
Ho visto
luci fosforescenti brillare sul mare notturno.
Ho visto
le bianche fauci delle onde scintillare appena
mentre l’oscurità le seppelliva.
Esistono solo le cose così come sono.
Ho visto
lo scintillio della luce fosforescente e il suo nascondersi,
simili allo sguardo che unisce la madre e il suo neonato.
Ora accetto i sogni.
Le cose non sono più solo come sono.
Io sogno.
Ieri
non è oggi.
Oggi
Non è domani.
Ma io sogno il domani.
La Madre terra è tomba d’esperienze.

Mi resta un sogno:
possa in un futuro lontano il mio Io-fossile sepolto nella terra
diventare un canto fossile.

- Ko Un -


Albert Bierstadt (1830-1902) "Mare e cielo" "Sea and Sky"

martedì 16 luglio 2013

Fiori di ciliegio

Se esiste un Dio, ebbene 
egli ha creato i fiori 
di ciliegio per punirmi.
Vi sento così fortemente.
Non posso permettermi questo
genere di distrazioni. Che venga
presto l'inverno su questo ciliegio!



venerdì 21 giugno 2013

Chiamata notturna

-Ti stai abituando a me, vero?
-Sì, è vero. Cosa c'è di male?
-Ti stancherai..
-Mi sto abituando a te, è così, amare non è più una cosa nuova, e quindi?
-Niente...un giorno cercherai una novità, o la novità cercherà te..
-Quante volte hai guardato Orgoglio e Pregiudizio?
-Che c'entra?
-Dici, quante?
-Ma... più di cento, almeno centoventi volte!
-Lo riguarderesti stasera?
-Certo!
-Alcuni film restano dentro di te anche dopo averli guardati per 120 volte. Li si ama lentamente, il colpo di fulmine è passato, sai già le loro battute, a volte le inizi prima di loro, e inizi a notare l'arredamento di una stanza, il colore de vestiti, i piccoli errori del regista. Avrai anche letto tutto ciò che riguarda la vita degli attori, o il libro da cui può essere stato tratto, ma continua ad appassionarti, continua a regalarti emozioni diverse e simili allo stesso tempo. Vedi, ti sei abituata a quel film ma continui a volerlo vedere. Ed è solo un film di 120 minuti, che puoi fermare, mandare indietro e vedere da capo ogni volta. Sarebbe divertente metterti in pausa ogni tanto solo per vederti ferma immobile con quel tuo faccino implorante e farti il solletico.
-Ehi!
-Sei molto di più. Da Vinci avrebbe bisogno di molto più tempo per te che per Monna Lisa.
-E se i dettagli conquistati nel tempo diventassero tratti di pennello di un vecchio dipinto?
-Il mondo stesso è un bellissimo vecchio dipinto, ma il pittore non ha ancora smesso di usare il pennello.
Ron Hicks - The night caller


domenica 16 giugno 2013

Passi incerti

Danzano le lettere con questa musica triste,
soffiano i pensieri e spingono giù le parole,
il ritmo come un martello
ora mi sprofonda nell'anima
per poi affiorare in superficie, lentamente,
pesante ricerca di ciò che sono, che sei, silenzio.
Riscendo a passi incerti, mi avvicino,
titubante e consapevole, e ascolto.

North and South 

mercoledì 12 giugno 2013

Rosa dipinta

Piegata così con la testa, che i capelli quasi sfioravano il pavimento, le labbra baciavano le ginocchia, e la mano, girata dietro la schiena, lasciava scoperta la rosa dipinta che saliva sul fianco, lungo il seno. Ciglia nere, e folte, quasi univano con un tratto l’orecchino tra i capelli e lo smalto sulle dita. Null'altro aveva indosso se non la sua vita. Quell'immagine non riusciva a dissolversi nella sua mente. Continuava a vederla, a sognarla, a desiderarla, si accese una sigaretta cercando di confonderla nel fumo. Nemmeno quando il sonno lo vinse la sua mano poteva lasciar cadere quel foglio con tutte le sue parole. Le sue uniche due parole. ‘Lasciati amare’. La sigaretta si spense da sola tra le sue dita, dimenticata anche dal tempo.

Sergio Lopez, Chromatella-Painted_Roses


giovedì 31 gennaio 2013

Un cieco vide l'infinito

Non è la notte a far buio,
non è l'estate a domar la frescura,
in alcuna forma si figura
negli occhi la luce,
solo sgomento. 

Sola, la lucciola 
vuole i colori,
e si dispera, 
ma fortunata,
gialla nel verde,
la bella di notte
poi trova.
Ma io, che pur mi dispero,
che pur vago quella linfa?

Ma stesso il sangue 
ha una sua armonia,
che se ti appoggi 
puoi sentire;

e se pur mi togli le tue note,
se pur mi lasci il mondo in dissolvenza, 
il mio allora, se riesci, attraversa,
e tutto, nel ciel tuo riversa;
né inizio né fine sono in me, 
ma so che sarò io per te
come un violinista sordo.

  Marc Chagall, Il violinista (1912-1913) 













lunedì 28 gennaio 2013

Chi eravamo?



Chi eravamo? Eravamo due o due forme di uno? Non lo sapevamo né ce lo chiedevamo: un sole vago doveva esserci, dato che nella foresta non era notte. Una vaga fine doveva esserci, dato che camminavamo. Un mondo qualsiasi doveva esserci, dato che c’era la foresta.
Noi, comunque, eravamo estranei a ciò che fosse o potesse essere, eterni camminatori all’unisono su foglie morte, ascoltatori anonimi e impossibili di foglie cadenti. Niente di più.


Il libro dell'inquietudine - Pessoa 



Gregory Myasoedov, Mattina d'autunno (1893)