giovedì 10 maggio 2012

La panchina




Questa mattina, in un momento di stanchezza, mi siedo su di una panchina di legno piuttosto rovinata, con l’intenzione di riordinare i miei soliti pensieri. Mi accorgo che il ritmo del mio tempo è incredibilmente rallentato, mentre  intorno a me questo continua a correre, insieme ai piedi della gente. A destra un’ansiosa cinquantenne trascina con fatica le buste della spesa, probabilmente in ritardo per la preparazione del pranzo, poco lontano un ragazzino appena quindicenne compra frettolosamente le Marlboro, mentre un povero Pug cerca disperatamente di  resistere agli strattoni  del suo proprietario. Ma i personaggi dello scenario che incuriosiscono il mio sguardo cambiano rapidamente, ed ecco che la cinquantenne diventa una donna di trent’anni circa, dalla camminata particolarmente nervosa, dovuta forse ai tacchi troppo alti, o alla telefonata appena ricevuta, o magari a entrambe le cose, il quindicenne ora ha  i capelli bianchi e un paio di pensieri in più, e  il Pug diventa un pappagallino tutto colorato, compagno d’avventura di uno zingaro che cerca di vendere i suoi numeri fortunati. Così passano, rapidi, davanti agli occhi, scorci di vita un po’ dedotta e un po’ inventata, di tutte queste persone, suscitando in me riso e tristezza, quando all’improvviso mi rendo conto di essere diventata anch’io parte dello scenario di qualcuno. Di fronte a me, leggermente nascosta dal paraurti di una Volvo, c’è una seconda panchina, da cui, un’anziana signora, con una particolare dolcezza, mi rivolge un sorriso. Rimasta per qualche attimo interdetta, come se qualcuno avesse scoperto il mio simpatico gioco, ricambio il sorriso e riprendo la corsa della mia giornata.


         
Christian Boltanski, Les Murmures

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